|| in-fretta-e-furia ||
Che poi... se si osserva con quella attenzione e con quel rigore scientifico: non esiste nessuna simmetria, non esiste nessun fanatismo delle e nelle forme. I rimandi esistono solo attraverso le ricomposizioni intenzionali, attraverso un meccanismo di separazione e ricostituzione del reale.
Si dovrebbe ricordare sempre che la natura, se vogliamo parlare in questi termini, sarà sempre unica per ragioni culturali, sociali e personali.
Movi-menti
L'emozione è un fenomeno sociale che deriva dall’interpretazione e dalla valutazione di uno stimolo, ossia da un processo di attribuzione di senso e valore. Le emozioni sono quindi considerate come modelli di esperienza acquisiti, costituiti da prescrizioni e apprendimenti sociali, storicamente situati e strutturati sulla base del sistema di credenze, dell’ordine morale, delle norme sociali e del linguaggio, propri di una particolare comunità e variabili come qualsiasi altro fenomeno culturale.
L'antropologia mi ha insegnato ad approcciarmi alle persone con attenzione e cura, per allontanare l'attidudine critico-distruttiva che mi ha "donato" il mio contesto culturale e religioso. Eppure fallisco, cadendo nella trappola delle emozioni.
"Ascolta il corpo". "Mettiti in sintonia con le tue emozioni". "Cosa senti?", sto già figurando la scena. I luminari della psiche e delle emozioni consiglierebbero una sana conversazione con il sé ed il complesso emotivo per far emergere luci e ombre, costitutive della vita. So che hanno ragione, ma qualcosa mi impedisce di prendere seria-mente in considerazione queste esort(azioni). E finisco per comprimere ed osservare con freddezza ciò che fino ad un momento fa mi colpiva, realizzando però che questa non è la via da perseguire...
usare "il proprio il corpo come strumento privilegiato di ricerca"
| Patine e saponi |
Se c’è una cosa che ho imparato frequentando questa esistenza: è la capacità posseduta dall'essere umano nel trovare i difetti e le storture altrui per sentirsi migliore. Ho realizzato questo nel momento in cui ho osservato sotto una luce diversa le pagine Instagram che si occupano di “svelare” le falle nella rappresentazione estetica di instagram-models, beauty-stars e influencers.
Da sempre le culture sono interessate a forgiare i corpi in determinate forme ed estetiche. Ad esempio, Francesco Remotti in Cultura sul corpo analizza in maniera dettagliata le pratiche di cura e controllo sui corpi, dato che
«l’essere umano può / deve essere plasmato; […] essendo [...] una sostanza malleabile, simile a “cera”, esso richiede un intervento che gli dia “forma” e “figura” […] l’intervento plasmatore, reso necessario dalla mancanza di forma originaria, è in quanto tale di tipo estetico: ha a che fare immediatamente con la “bellezza” (2015, 5)».
Queste pagine sono solite accostare il termine ‘bellezza’ a quello di 'falso'. Reinventano l’acqua calda in buona sostanza, ma il punto non è questo. Ciò che mi incuriosisce è la loro organizzazione, 'mission’ e leitmotiv.
Il meccanismo di funzionamento consiste nel mostrare il prima/dopo, la fotopostata/realtà, il ieri/oggi di un soggetto (nella maggior parte dei casi si tratta di donne) per far realizzare che tutto è un artefatto, creato dagli interventi chirurgici, dai giochi di luci, dalle angolazioni e da Photoshop.
(immagini a scopo illustrativo)
La comunicazione adottata da queste pagine è d’impatto, in quanto si affidano ad un silenzioso gioco di potere insito nella riproduzione dell'immagine dell'altro. Dal punto di vista teorico e antropologico, un’immagine non è «soltanto un prodotto di un determinato mezzo», è anche un «prodotto del nostro io, nel quale generiamo immagini personali (sogni, immaginazione e percezioni) che interagiscono con le altre immagini del mondo visibile (Belting 2001, 10)» ed inoltre le immagini dipendono da due «atti simbolici»: «l’atto della fabbricazione e l’atto della percezione (Belting 2001, 11)». Da queste basi, lo spettatore viene, inconsapevolmente, guidato a osservare e sentire l'altro attraverso le sue finzioni, i suoi "difetti" e le sue "deformazioni ", che vengono evidenziate e cerchiate. Ciò comporta una demonizzazione dell'immagine dell'altro, come mostrano i commenti lasciati sotto ai post.
Qualcuno potrebbe risentirsi dalle mie posizioni sostenendo che queste pagine hanno un potere “salvifico”, in quanto ci ricordano che la perfezione non appartiene a noi umani; che la realtà è un’altra oppure che non vogliono screditare quel soggetto rappresentato. Certo è nobile questa operazione di smascheramento e di messa in critica degli idealtipi estetici propinati dal mio contesto culturale, ma a questo punto mi chiedo: 1) come mai il discorso di accettazione personale deve passare attraverso la deturpazione dell’immagine altrui?; 2) perchè non pensare di creare attività volte alla conoscenza delle ragioni e delle motivazioni che spingono i soggetti a ricorrere a quella presentazione?
Bibliografia
Belting H., 2001, Antropologia delle immagini
Eco U., 2004, Storia della bellezza
Remotti F., 2015, Cultura sul corpo
| Le falle del sistema |
Giorni fa l'algoritmo di Youtube, che sa della mia profonda ammiraossessione per Umberto Galimberti, mi ha proposto una sua conferenza sull’identità. Galimberti ha indicato che l’identità è un dono sociale e l'individuo viene riconosciuto socialmente. Porta l’esempio della maestra che reputa un bambino intelligente e studioso, lo incoraggia nello sviluppo di un'identità positiva.
Ho avuto modo di approfondire questa tematica ne L’epoca delle passioni tristi. Gli autori, Benasayag e Schmit, parlano a riguardo dell’utilitarismo scolastico:
«tale ideologia pretende di costituire un mondo trasparente, in cui possiamo sempre giudicare ciascun essere umano in funzione di criteri chiari, precisi e univoci: i criteri quantitativi […] Nel gioco dell’utilitarismo scolastico, significa molto di più: viene considerato una specie di biglietto d’ingresso nel mondo degli adulti, perché si pensa che chi non studia sarà disoccupato, avrà una vita mediocre eccetera».
Ripenso al mio percorso scolastico, dove i miei/mie compagni/e venivano etichettat*, classificat* e, per certi versi, schedat* in base a quanto e a come rendevano. Le loro esistenze venivano cristalizzate e uniformate.
Queste considerazioni penso che possano essere applicate anche a quei casi in cui una bambina o un bambino viene ritenut* dall’insegnante taciturn*, silenzios* e spingono il soggetto a pensarsi in un modo anziché in un altro, le influenze dell'insegnante modellano la sua identità in base a quel tratto esteriore che gli è stato “donato”.
È evidente che si tratta di un sistema e di un modo di organizzare la vita scolastica degli alunni e delle alunne del mio contesto culturale, ma come si potrebbe rimettere al centro il soggetto?
Bibliografia
Bonetti R., 2014, La trappola della normalità.
Galimberti U., 2021, Trovare la propria vera identità.
Schmit G., Benasayag M., 2003, L’epoca delle passioni tristi.
|| 7 dicembre
Stavo pensando agli intellettuali di sinistra (che tanto sottolineo) o ai rappresentati di tale ideologia che partono dal presupposto che ciò che stanno facendo é virtuoso e moralmente valido perché "é di sinistra". Come si è arrivati ad accettare che quello che fanno e pensano é socialmente e culturalmente valido? Questo non é un attacco, quanto più una riflessione ad alta voce sull'impostazione delle categorie culturali e politiche del mio contesto sociale.
Mi chiedo, se questi netti posiziona-menti mi stanno facendo tralasciare possibilità, sperimentazioni o percorsi interpretativi.
La maggior parte delle volte si guida il pensiero verso lo stato di fissazione per mancanza di alternative.
Umani, troppo umani.
Sono arrivata alla seguente conclusione: tumblr è il social più umano su cui sono stata.
Sí lo so, vi ho rotto giá nel post precedente con la riflessione antropologia, tumblr e umani. Abbondare è sempre meglio, cit.
Dicevo.
Tumblr è il social che ti induce inevitabilmente ad "affezionarti" al mondo interiore delle persone: i racconti del quotidiano, le piccole o grandi sfide, i progetti futuri, le raccolte di pensieri... Si va a definire un setting e un'atmosfera così intima e personale, da non essere disturbata o violata...
vabbè la smetto con queste riflessioni da scrittrice squattrinata.
Vorrei, invece, aprirmi ad una riflessione, se me lo concedi. Per te: cosa significa condividere un post?
giuro che non sto facendo ricerche di mercato per conto di tumblr per migliorare servizi 💔. La mia è solo deformazione professionale h 24.
23:20 || 19 agosto || ripristina-menti
In questi giorni sto cercando di intraprendere nuove prospettive per approcciarmi a questa realtà satura di esistenze.
Nelle ultime settimane sto ascoltando e vedendo che tante persone rimangono impigliate in circoli viziosi che sembrano essere deleteri. E tra queste alcune mi fanno proprio alzare gli occhi al cielo, perché applico un riduzionismo di tipo cinico...
Ciononostante mi impongo di superare la superficialità. E mi metto in testa che vorrei spiegare un sacco di cose; usare quello che sto imparando dalla teoria per aiutare, per confortare; provare a spiegare come funziona la sofferenza che viene impressa dalla società (es. gli ideali, i desideri, rapporto uomo-donna); insomma di fornire mezzi per uscire dal destino triste a cui ci condanna il nostro contesto sociale.
Poi, però, mi ricordo che sto tralasciando un aspetto. Queste sono solo le mie volontà. Capisco che devo fermarmi e fare un passo indietro. Non posso avere la presunzione di limitare l'agentivitá altrui e plasmarla secondo il mio punto di vista. Inizio così a chiedermi: questa persona che ho davanti cosa si aspetta da me? Cosa mi sta comunicando? Cosa sta significando per lei questa condivisione? É solo un riferirmi il suo stato d'essere? Oppure dietro risiedono altri meccanismi o simboli che non riesco a cogliere?
Quando non si è soddisfatti di sé stessi ci si fa psicologi; quando non si è soddisfatti della propria società ci si fa sociologi; quando non si è soddisfatti di sé stessi e della propria società, ci si fa antropologi
Margaret Mead
|| In realtà è... non so guardare i film ||
Su “consiglio” di Spotify ho visto Femina Ridens, film thriller drammatico del 1969.
[La Trama] Il dottor Sayer, direttore di un istituto filantropico, in seguito a un trauma infantile è cresciuto col terrore dell'amplesso: teme che la donna si comporti, in amore, come la femmina di certi scorpioni, che uccide il maschio con cui s'è accoppiata. Il complesso ha fatto di lui un seviziatore di donne a pagamento: il macabro gioco si svolge, ogni fine settimana, nel suo appartamento, attrezzato con ogni sorta di strumenti di tortura. Un giorno, venutagli a mancare una delle sue solite "vittime" coglie l'occasione di una visita della segretaria, Mary, per ridurre la donna in suo potere. Torturandola, minacciandola ad ogni istante di morte e mostrandole le "prove" di precedenti "delitti", Sayer spinge Mary a tentare il suicidio. Da quel momento, però, qualcosa nell'uomo comincia a cambiare: sul punto di ucciderla davvero, s'accorge di essersi innamorato di lei, la quale è pronta a ricambiarlo. Dopo averle confessato di non avere mai ucciso nessuno, Sayer si getta fra le sue braccia ma, come aveva sempre temuto, per lui quell'atto sarà davvero fatale. Per Mary, invece, che recitando a perfezione la parte di vittima innocente, si era deliberatamente sostituita ad una delle solite donne di Sayer, la sua morte non sarà che l'ultimo di una serie di trionfi sugli uomini (Il cinematografo, https://www.cinematografo.it/cinedatabase/film/femina-ridens/22728/)
[Oltre il film] Ad aver catturato la mia attenzione è stata la rappresentazione del rapporto uomo-donna, tra Mary Erkström e il dottor Sayer. È un film che vorrebbe, forse, far riflettere sul modo di essere donna e uomo nella società di fine anni ’60. L’uomo è virilità, potenza, indipendenza mentre la donna è ingenuità, é un essere indifeso, carico di sensualità ed erotismo. Gli unici momenti in cui i ruoli vengono messi in discussione sono quando Sayer mostra la sua fragilità nell'innamorarsi di lei; e nel trionfo di Mary che si vendica e si emancipa da quella situazione reclutando lo stesso apparato concettuale del dottor Sayer: atteggiamenti da despota violento e suprematista, infatti è simbolica la sua frase: “Impara a vendicarti e distruggerli, giocando al loro stesso gioco. Vedrai come è piacevole”.
Secondo me il film mette in mostra “ciò che si dice sull'uomo e sulla donna in società". Riconosco che qua sta il punto di forza. La mia postura da studentessa però mi porta a essere polemica, in particolare sul finale: perché Mary ha ucciso il dottor Sayer? Perché poi consiglia di attuare la violenza? Non si poteva costruire una narrazione alternativa e proficua?
Il film ha collegamenti con la nostra contemporaneitá, non a caso il nostro tempo ha come focus: comprendere il funzionamento del rapporto uomo-donna, il ruolo della donna nella società, la sua emancipazione, il boicottaggio del patriarcato o il revival del “sesso debole”. Ad esempio, guardando alla contemporaneità ripenso al testo Cercando Rispetto (2005) dell’antropologo americano Philippe Bourgois che nel descrivere l’emancipazione delle donne del barrio di East Harlem, notava che la loro battaglia era declinata secondo parametri patriarcali. Le donne lottavano quotidianamente per ottenere assistenza per sé e per i privilegi, per conquistare posizioni di rilievo nell’economia underground della strada. Queste donne resistevano al dominio degli uomini uccidendo i propri mariti o rifiutando convivenze basate sul terrore. Bourgois ha voluto portare in evidenzia quelle contraddizioni insite nel processo di empancipazione. Ció mi spinge a chiedermi: si è destinati in eterno a soccombere alla logica win-lose e a replicare gli atteggiamenti da cui si cerca di prendere le distanze?
A me questo film ha lasciato molte perplessitá, soprattutto dal punto di vista del contenuto. Forse questa mia indisposizione nasce dal mio essere fin troppo impregnata di studi, invece dovrei inquadrare il film nella sua epoca storica e culturale. Ma ritorno sempre lì. Nonostante siano passati più di cinquant’anni il rapporto uomo-donna continua ad essere declinato attraverso il darwinismo sociale...
E mi convinco sempre di più che a cambiare non devono essere le persone, ma gli immaginari e le rappresentazioni.
Nessuno:
Proprio nessuno:
Perennemente io:
"Un antropologo può realmente creare una situazione controllata in cui provocare la sua «natura», cioè la gente che studia, per analizzare le risposte? (Piasere, L'etnografo imperfetto. Esperienza e cognizione in antropologia)".