Overdose

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4 years ago

I cristiani bruciano come sinapsi


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6 years ago
Art By: Eros Manfredi Borselli (a.k.a. Soranus)

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Untitled / collage 2017


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3 years ago
Old Skulls By Me 🖤
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5 years ago

Ghost band from Italy

PURE LOVELESS NOISE


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5 years ago

Dichiarazione davanti ai giudici Alexandre Marius Jacob, 8 marzo 1905

Signori, Adesso sapete chi sono: un ribelle che vive del ricavato dei suoi furti. Di  più. Ho incendiato diversi alberghi e difeso la mia libertà contro  l’aggressione degli agenti del potere. Ho messo a nudo tutta la mia esistenza di lotta e la sottometto come un problema alle vostre intelligenze. Non riconoscendo  a nessuno il diritto di giudicarmi, non imploro né perdono né  indulgenza. Non sollecito ciò che odio e che disprezzo. Siete i più  forti, disponete di me come meglio credete. Inviatemi al penitenziario o al  patibolo, poco m’importa. Ma prima di separarci, lasciatemi dire un’ultima  parola…  Avete chiamato un uomo: ladro e bandito, applicate contro di lui i rigori della  legge e vi domandate se poteva essere differentemente. Avete mai visto un ricco  farsi rapinatore? Non ne ho mai conosciuti. Io, che non sono né ricco  né proprietario, non avevo che queste braccia e un cervello per assicurare  la mia conservazione, per cui ho dovuto comportarmi diversamente. La società  non mi accordava che tre mezzi di esistenza: il lavoro. la mendicità  e il furto. Il lavoro, al contrario di ripugnarmi, mi piace. L’uomo non  può fare a meno di lavorare: i suoi muscoli, il suo cervello, possiedono  un insieme di energie che deve smaltire. Ciò che mi ripugnava era di  sudare sangue e acqua per un salario, cioè di creare ricchezze dalle  quali sarei stato sfruttato. In una parola, mi ripugnava di consegnarmi alla  prostituzione del lavoro. La mendicità è l’avvilimento,  la negazione di ogni dignità. Ogni uomo ha il diritto di godere della  vita. “Il diritto di vivere non si mendica, si prende”.  Il furto è la restituzione, la ripresa di possesso. Piuttosto di essere  chiuso in un’officina come in una prigione, piuttosto di mendicare ciò  a cui avevo diritto, ho preferito insorgere e combattere faccia a faccia i miei  nemici, facendo la guerra ai ricchi e attaccando i loro beni. Comprendo che  avreste preferito che mi fossi sottomesso alle vostre leggi, che operaio docile  avessi creato ricchezze in cambio di un salario miserabile, e che, il corpo  sfruttato e il cervello abbrutito, mi fossi lasciato crepare all’angolo  di una strada. In quel caso non mi avreste chiamato “bandito cinico”,  ma “onesto operaio”. Adulandomi mi avreste dato la medaglia al lavoro.  I preti promettono un paradiso ai loro fedeli, voi siete meno astratti, promettete  loro un pezzo di carta. Vi ringrazio molto di tanta bontà, di tanta gratitudine. Signori! Preferisco essere un cinico cosciente dei suoi diritti che un automa, una cariatide. Dal momento in cui ebbi possesso della mia coscienza, mi sono dato al furto senza alcuno scrupolo. Non accetto la vostra pretesa morale che impone il rispetto  della proprietà come una virtù, quando i peggiori ladri sono i proprietari stessi. Ritenetevi fortunati che questo pregiudizio ha preso forza nel popolo, in quanto è proprio esso il vostro migliore gendarme. Conoscendo l’impotenza della legge, o per meglio dire, della forza, ne avete fatto il più solido  dei vostri protettori. Ma, state accorti, ogni cosa finisce. Tutto ciò  che è costruito dalla forza e dall’astuzia, l’astuzia e la  forza possono demolirlo. Il popolo si evolve continuamente. Istruiti in queste verità, coscienti  dei loro diritti, tutti i morti di fame, tutti gli sfruttati, in una parola  tutte le vostre vittime, si armeranno di un “piede di porco” assalendo  le vostre case per riprendere le ricchezze che essi hanno creato e che voi avete  rubato. Riflettendo bene, preferiranno correre ogni rischio invece d’ingrassarvi  gemendo nella miseria. La prigione… i lavori forzati, il patibolo… non sono  prospettive troppo paurose di fronte ad una intera vita di abbrutimento, piena  di ogni tipo di sofferenze. Il ragazzo che lotta per un pezzo di pane nelle  viscere della terra senza mai vedere brillare il sole, può morire da  un momento all’altro, vittima di una esplosione di grisou. Il muratore  che lavora sui tetti, può cadere e ridursi in briciole. Il marinaio conosce  il giorno della sua partenza ignora quando farà ritorno. Numerosi altri  operai contraggono malattie fatali nell’esercizio del loro mestiere, si  sfibrano, s’avvelenano, si uccidono nel creare tutto per voi. Fino ai  gendarmi, ai poliziotti, alle guardie del corpo, che, per un osso che gettate  loro, trovano spesso la morte nella lotta contro i vostri nemici.  Chiusi nel vostro egoismo, restate scettici davanti a questa visione, non è  vero? Il popolo ha paura, voi dite. Noi lo governiamo con il terrore della repressione;  se grida, lo gettiamo in prigione; se brontola, lo deportiamo, se si agita lo  ghigliottiniamo. Cattivo calcolo, Signori, credetemi. Le pene che infliggete  non sono un rimedio contro gli atti della rivolta. La repressione invece di  essere un rimedio, un palliativo, non fa altro che aggravare il male.  Le misure coercitive non possono che seminare l’odio e la vendetta. È  un ciclo fatale. Del resto, fin da quando avete cominciato a tagliare teste,  a popolare le prigioni e i penitenziari, avete forse impedito all’odio  di manifestarsi? Rispondete! I fatti dimostrano la vostra impotenza. Per quanto  mi riguarda sapevo esattamente che la mia condotta non poteva avere altra conclusione  che il penitenziario o la ghigliottina, eppure, come vedete, non è questo  che mi ha impedito di agire. Se mi sono dato al furto non è per guadagno  o per amore del denaro, ma per una questione di principio, di diritto. Preferisco  conservare la mia libertà, la mia indipendenza, la mia dignità  di uomo, invece di farmi l’artefice della fortuna del mio padrone. In  termini più crudi, senza eufemismi, preferisco essere ladro che essere  derubato.  Certo anch’io condanno il fatto che un uomo s’impadronisca violentemente  e con l’astuzia del furto dell’altrui lavoro. “Ma è  proprio per questo che ho fatto guerra ai ricchi, ladri dei beni dei poveri”.  Anch’io sarei felice di vivere in una società dove ogni furto sarebbe  impossibile. Non approvo il furto, e l’ho impiegato soltanto come mezzo  di rivolta per combattere il più iniquo di tutti i furti: la proprietà  individuale. Per eliminare un effetto, bisogna, preventivamente, distruggere la causa. Se esiste il furto è perché “tutto” appartiene solamente  a “qualcuno”. “La lotta scomparirà solo quando gli uomini  metteranno in comune gioie e pene, lavori e ricchezze, quando tutto apparterrà  a tutti”. Anarchico rivoluzionario, ho fatto la mia rivoluzione, l’anarchia verrà!

5 years ago
Slow ‘n Rusty

Slow ‘n Rusty


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4 years ago

La polizia è sempre brutale e fascista, non importa in che nazione.

Per Non Dimenticare La Violenza Di Regime.

Per non dimenticare la violenza di regime.

Giuseppe Uva morirà il 15 giugno del 2008: Venne fermato dai Carabinieri insieme ad un amico, che raccontò: “Avevamo bevuto. Mettemmo le transenne in mezzo alla strada. Una bravata”. Li portarono via, li misero in due stanze diverse. L’amico sente le grida di Giuseppe nell’altra stanza. Chiama il 118. Chiede aiuto. Giuseppe fu arrestato, torturato ed ucciso.

Riccardo Rasman, 34 anni, muore il 27 ottobre 2006, nel suo appartamento a Trieste: ammanettato a terra, prono, con le caviglie legate da un fil di ferro, ha un arresto respiratorio. La polizia era intervenuta a seguito della segnalazione di alcuni vicini perché Riccardo teneva il volume della musica troppo alto.

Federico Aldrovandi, studente ferrarese di 18 anni. Il 25 Settembre 2005 una volante sarebbe stata avvertita da una donna preoccupata dalla presenza di un ragazzo che, forse, camminava in modo strano, forse cantando.Quando arrivò la volante seguì una collutazione dove si spezzarono sul corpo di Federico 2 manganelli. All’arrivo sul posto il personale del 118 trovava il paziente “riverso a terra, prono con le mani ammanettate dietro la schiena, era incosciente e non rispondeva”. Federico fu arrestato, torturato ed ucciso.

Manuel Eliantonio, 22 anni, muore il 25 luglio 2008, nel carcere Marassi di Genova, coperto di lividi e di segni di violenze, ufficialmente dopo aver inalato del gas butano. Stava scontando una condanna a 5 mesi per resistenza a pubblico ufficiale e lesioni. La sua pena avrebbe dovuto terminare il 4 settembre.

Marcello Lonzi, 29 anni, muore l’11 luglio 2003 nel carcere di Livorno: sarebbe deceduto per collasso cardiaco, dopo essere caduto battendo la testa. La madre non crede a questa ricostruzione e sospetta si sia trattato di un omicidio, anche perché il corpo del figlio era coperto di lividi.

Stefano Cucchi, 31 anni, muore il 15 ottobre 2009, viene fermato con alcuni grammi di hashish. In conseguenza di questo viene decisa la custodia cautelare, in tale data il giovane non aveva alcun “trauma fisico”. il 16 Ottobre 2009 Stefano viene processato per direttissima. Già durante il processo aveva difficoltà a camminare e a parlare e mostrava inoltre evidenti LESIONI ed ECCHIMOSI alle gambe, al viso (inclusa una frattura della mascella), all’addome (inclusa un’emorragia alla vescica) ed al torace (incluse due fratture alla colonna vertebrale).

Gabriele Sandri, 28 anni, muore l’11 novembre 2007 in un Autogrill dell’autostrada A1, dove, dopo un accenno di rissa tra tifoserie opposte, la polizia stradale interviene e un agente spara due colpi di pistola a grande distanza colpendo Gabriele al collo mentre si trova all’interno di un’auto.

5 years ago

I want you so bad...

Shirtstuckedin

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11 months ago
Chicago Tribune, Illinois, April 13, 1914

Chicago Tribune, Illinois, April 13, 1914

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  • bohemialatina
    bohemialatina liked this · 2 years ago
  • ilgiocodelsilenzio
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soranus666 - PALESTINA LIBERA. art,photos & weird shit
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