|| Sarà Forse Un Mio Limite

|| Sarà forse un mio limite

ma difficilmente entrerò in sintonia con i sostenitori dell’ideologia decostruzionista disfunzionale. Mi riferisco a coloro che mirano ad instaurare un regime equo che passa attraverso la demolizione coatta di tutto ciò che non rientra nelle loro concezioni di giusto.

Non capisco perché non si predilige, invece, una scomposizione delle presunte negatività per approfondire e conoscere come vengono vissute da chi le sperimenta nella pratica.

Ancor prima di iniziare l’operazione di demolizione, perché l’analisi non parte da ciò che sta a cuore della gente, da "cosa c’è in ballo?" parafrasando Arthur Kleinman? Invece nell’instaurazione del regime equo tutto scade nel moralismo più tossico, dove gli altri per star bene devono essenzialmente insistere a rigettare e vivere ciò che questi decostruzionisti disfunzionali propinano…

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3 years ago

14.29 || 10 luglio

esperi-menti senza vivisezioni

prima di trovare risposte    e t n o c e n t r i c h e    e che rischierebbero di mandare alla malora i 5 anni di antropologia, mi chiedo: come mai le persone scelgono di seguire la via della non-azione, preferendo stanziarsi nel lamento continuo? Oppure si dovrebbe ri-pensare, radical-mente, la definizione di azione?


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3 years ago

| Se l’acqua calda venisse teorizzata |

Fino ad un certo punto della mia esistenza ho ritenuto che le estetiche, le mode e le tendenze si dividessero in due categorie: quelle della ‘massa’ e quelle ‘ricercate’. Con la frequentazione e l’osservazione dei contesti virtuali (odio questa parola ma è per intenderci) ho mutato di pensiero. Inizio a guardare la distinzione in maniera più critica, affermando che essa è semplice-mente un artificio culturale e che non tiene in considerazione la realtà odierna.

In tempi recenti, mi sono approcciata a nuovi universi (cinema, musica, letteratura) ritenendo che alcuni stili fossero di una cerchia “ristretta”, “unici” e di difficile accesso, ma quando ho iniziato a cercarli online: è emersa una solida rete di proseliti che si nutre ed alimenta questi contenuti (blog, video su Youtube, playlist).

Sicuramente verrò tacciata di ingenuità, ma credo che fino a pochi anni fa non era così.

C’è un preciso momento che ha portato all’omogeneizzazione delle estetiche: l’avvento di internet, che ha permesso di andare oltre il concetto di 'nicchia'. Ad “aggravare” ulteriormente la situazione interviene quel fastidioso e invasivo meccanismo di personalizzazione dei contenuti: se inizio a ‘likkare’ i post dedicati ai meme sui gattini mi piazzano tutti gli account e i profili correlati, andando a radicalizzare la mia identità e "ad aggiungerla" ad altre persone per quel principio di "in comune" o "nella mia cerchia".

In questo scenario, tutto può trasformarsi in comunità di seguaci e le demarcazioni saltano grazie agli hashtags o agli "account simili ".

A questo punto il rapporto tra oggetto e fruitore dovrebbe essere guardato con più sincerità e onestà. Quanto a me, dovrei togliere quell’aura di misticismo che aleggia intorno a certe forme "d'arte".

4 years ago

perenne-mente stazionaria

Detesto, disprezzo: mi viene la nausea. Provo, sempre, un forte estraniamento e disgusto verso il mio contesto culturale e sociale. Mi disgustano gli stimoli, le rappresentazioni culturali, gli immaginari, il modo in cui plasmano la realtà immaginaria e reale. Vivo con l’illusione di perseguire una via di fuga inedita, ma in realtà è sempre la stessa: tutto cambia per non cambiare niente. Il mio non è né uno sfogo da adolescente nevrotica (né its Madame Bovary), né perché sono su tamblah e va di moda la flagellazione della mia esistenza. E’, invece, la constatazione bruta, che questo mio mondo culturale mi tiene constante-mente impigliata, in una costruzione personale e identitaria che detesto. Forse l’unica pace reale sta nel niente niente niente.


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3 years ago

| Patine e saponi |

Se c’è una cosa che ho imparato frequentando questa esistenza: è la capacità posseduta dall'essere umano nel trovare i difetti e le storture altrui per sentirsi migliore. Ho realizzato questo nel momento in cui ho osservato sotto una luce diversa le pagine Instagram che si occupano di “svelare” le falle nella rappresentazione estetica di instagram-models, beauty-stars e influencers.

Da sempre le culture sono interessate a forgiare i corpi in determinate forme ed estetiche. Ad esempio, Francesco Remotti in Cultura sul corpo analizza in maniera dettagliata le pratiche di cura e controllo sui corpi, dato che

«l’essere umano può / deve essere plasmato; […] essendo [...] una sostanza malleabile, simile a “cera”, esso richiede un intervento che gli dia “forma” e “figura” […] l’intervento plasmatore, reso necessario dalla mancanza di forma originaria, è in quanto tale di tipo estetico: ha a che fare immediatamente con la “bellezza” (2015, 5)».

Queste pagine sono solite accostare il termine ‘bellezza’ a quello di 'falso'. Reinventano l’acqua calda in buona sostanza, ma il punto non è questo. Ciò che mi incuriosisce è la loro organizzazione, 'mission’ e leitmotiv.

Il meccanismo di funzionamento consiste nel mostrare il prima/dopo, la fotopostata/realtà, il ieri/oggi di un soggetto (nella maggior parte dei casi si tratta di donne) per far realizzare che tutto è un artefatto, creato dagli interventi chirurgici, dai giochi di luci, dalle angolazioni e da Photoshop.

| Patine E Saponi |
| Patine E Saponi |

(immagini a scopo illustrativo)

La comunicazione adottata da queste pagine è d’impatto, in quanto si affidano ad un silenzioso gioco di potere insito nella riproduzione dell'immagine dell'altro. Dal punto di vista teorico e antropologico, un’immagine non è «soltanto un prodotto di un determinato mezzo», è anche un «prodotto del nostro io, nel quale generiamo immagini personali (sogni, immaginazione e percezioni) che interagiscono con le altre immagini del mondo visibile (Belting 2001, 10)» ed inoltre le immagini dipendono da due «atti simbolici»: «l’atto della fabbricazione e l’atto della percezione (Belting 2001, 11)». Da queste basi, lo spettatore viene, inconsapevolmente, guidato a osservare e sentire l'altro attraverso le sue finzioni, i suoi "difetti" e le sue "deformazioni ", che vengono evidenziate e cerchiate. Ciò comporta una demonizzazione dell'immagine dell'altro, come mostrano i commenti lasciati sotto ai post.

Qualcuno potrebbe risentirsi dalle mie posizioni sostenendo che queste pagine hanno un potere “salvifico”, in quanto ci ricordano che la perfezione non appartiene a noi umani; che la realtà è un’altra oppure che non vogliono screditare quel soggetto rappresentato. Certo è nobile questa operazione di smascheramento e di messa in critica degli idealtipi estetici propinati dal mio contesto culturale, ma a questo punto mi chiedo: 1) come mai il discorso di accettazione personale deve passare attraverso la deturpazione dell’immagine altrui?; 2) perchè non pensare di creare attività volte alla conoscenza delle ragioni e delle motivazioni che spingono i soggetti a ricorrere a quella presentazione?

Bibliografia

Belting H., 2001, Antropologia delle immagini

Eco U., 2004, Storia della bellezza

Remotti F., 2015, Cultura sul corpo


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3 years ago

Condivido appieno i tuoi pensieri sulla normalizzazione della diversità attraverso la vendita di bambole raffiguranti ragazze che deviano da quelli che sono i comuni canoni estetici. Non posso però fare a meno di avvertire il rischio che si tratti di un'operazione prettamente commerciale, con l'obiettivo di vendere *anche* a quelle bambine che non sono né bianche né bionde. Tu cosa ne pensi?

Ciao @11-cis-retinale, grazie per la condivisione del tuo punto di vista😊.

Hai perfettamente ragione, sotto un aspetto si tratta di "un'operazione prettamente commerciale", perché queste bambole sono pur sempre un prodotto della e per la società consumista. C'è comunque da aggiungere che, al di là del fatto in sé, queste bambole rappresentano e veicolano messaggi culturali. È lì che, secondo me, diventano funzionali e smettono di essere mera "merce".

3 years ago

sono una ex-studentessa di antropologia basic, i miei pArTnEr intellettuali usano una metafora evocativa:

Sono Una Ex-studentessa Di Antropologia Basic, I Miei PArTnEr Intellettuali Usano Una Metafora Evocativa:

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3 years ago
C'hai Un Cervello Che Dipinge Di Nero Pure Il Latte. (Véronique Vendell, Sorella Di Isolina)
C'hai Un Cervello Che Dipinge Di Nero Pure Il Latte. (Véronique Vendell, Sorella Di Isolina)

C'hai un cervello che dipinge di nero pure il latte. (Véronique Vendell, sorella di Isolina)

C'hai Un Cervello Che Dipinge Di Nero Pure Il Latte. (Véronique Vendell, Sorella Di Isolina)
C'hai Un Cervello Che Dipinge Di Nero Pure Il Latte. (Véronique Vendell, Sorella Di Isolina)

Ho mandato in galera un bruto […] Di fronte alla verità, non guardo in faccia nessuno. E poi ti dirò un cosa che quando un uomo vive come vive. Insomma. È brutto dentro vuol dire che è brutto anche fuori. (Monica Vitti, Isolina Pantó)

~ La supertestimone, 1971.

3 years ago
                   ||  Keep It In Case Of An Emergency ||

                   ||  keep it in case of an emergency ||

3 years ago

Your blog is so lovely...have a nice day, honey :)))

Grazie troppo gentile ^.^ Il tuo nick e il tuo humor: fantastici ahahah

4 years ago

30.04.2021

Ricorda che: la falla del sistema risiede nell’occhio, nella maniera in cui osserva e, poi, ricostruisce la realtà.

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